Articoli 2021

Nella cella del cellulare

Di Chiara Bertoglio

Intendiamoci: sono tutt'altro che una passatista, vivo immersa nell'oggi e utilizzo la tecnologia in modo molto intenso per il mio lavoro. Ma questa notte, sollecitata dalla lettura di uno scritto di una mia cara amica, mi sono resa conto di qualcosa che mi ha fatta pensare un po', e vorrei condividerlo con voi.

Come si faceva, una volta, per trovare l'orientamento? Si guardavano le stelle; e un'azione "utile" per la vita diventava contemplazione dell'infinito e incantamento davanti alla bellezza del firmamento. Come si fa adesso? Si digita la meta sullo smartphone, e si è guidati passo passo.

Come si faceva, una volta, per ascoltare musica? La si faceva, prima di tutto; se proprio non si era capaci, si chiamava un musicista o un gruppo di musicisti che avrebbero allietato qualsiasi festa, non solo con i loro suoni, ma anche con la loro presenza umana. Come si fa adesso? Ci si infila le cuffie dello smartphone nelle orecchie e si ascolta quel che si vuole.

Come si faceva, una volta, per imparare? Ci si sedeva ai piedi di un sapiente, lo si interrogava, se ne era interrogati; si discuteva, ma soprattutto si ascoltava. Si imparava un atteggiamento di umiltà, di apertura, di accoglienza e di concentrazione. Come si fa adesso? Si prende lo smartphone e si cercano le "informazioni" (non la sapienza...) su Wikipedia.

Come si faceva, una volta, per giocare? Si trovava qualcuno con cui farlo, nella maggioranza dei casi, e si passava del tempo insieme divertendosi, assoggettandosi a regole condivise, ridendo e assaporando la bellezza di un'attività che non ha altro fine che se stessa. Come si fa adesso? Si accende lo smartphone e si fanno interminabili partite su videogiochi spesso creati per ingenerare una sorta di dipendenza, e che sicuramente non "divertono" più di tanto.

Come si faceva, una volta, per stare con gli amici? Ci si vestiva bene, ci si recava da loro, si passava del tempo insieme con qualche dolcetto da sgranocchiare e qualche buona bevanda da assaporare. Incontrarsi era un rito, e il tempo dedicato all'amico era un tempo esclusivo. Come si fa adesso? Prevalentemente, si fanno tristi monologhi vocali da mandare, con lo smartphone, via messaggistica istantanea. E magari l'amico li ascolta a velocità doppia per non perdere tempo.

Come si faceva, una volta, per tenere buono un bambino piccolo? Lo si prendeva in braccio, gli si cantava una ninna nanna, lo si cullava, gli si parlava. Era tutto un contatto, fisico, sensoriale, emozionale, affettivo. Come si fa adesso? Gli si mette nelle mani lo smartphone della mamma con un cartone animato per piccolissimi, e il bambino sta buono.

Sono solo piccoli esempi. Ripeto, non tutto era ideale nel passato, e io sono la prima a trovare utilissimi gli smartphone. Mi rattrista molto, tuttavia, vedere gruppi di ragazzi al parco, "amici", seduti fianco a fianco sulle panchine e tutti chini sullo schermo del proprio smartphone. Credo sia importante fermarsi un attimo a riflettere sullo strapotere che stiamo dando a questi strumenti, e su come stiamo permettendo loro (complice anche la pandemia) di alienarci dalle relazioni umane, dalla fisicità, dalla concretezza della vita. Il cellulare, strumento potentissimo, si trasforma in una cella: viviamo all'interno di essa, e la realtà ci arriva filtrata dallo smartphone. Gli smartphone sono strumenti, e sono strumenti utilissimi; cerchiamo però di stare attenti che non diventino degli idoli, delle divinità di plastica che hanno tutte le risposte e tutte le soluzioni, e che ci risparmiano di usare la testa, la memoria, l'immaginazione, l'umanità.

Un Dio fuorilegge

Di Patrizio Righero

I cristiani sono nati da un fuorilegge. Gesù fu minacciato, ricercato, arrestato, imprigionato, processato e condannato a morte. Nel Vangelo di Matteo si dice che addirittura il suo corpo, deposto dalla croce, fu affidato in custodia a delle guardie. Era considerato un fuorilegge da vivo e anche da morto. I suoi carnefici non sapevano che lo sarebbe stato ancora di più da risorto. La stessa sorte toccò, di lì a poco, a Stefano. Negli atti degli Apostoli si legge che Pietro e Giovanni, replicando ai capi, agli anziani, agli scribi e ai sommi sacerdoti, dissero:

«Se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi».

La storia della chiesa narra di continue e crudeli persecuzioni. In Albania, tanto per fare un esempio, durante il regime comunista era vietato anche solo dire di credere in Dio. I cristiani sono “fuori legge” per natura.

L’ultima delle beatitudini riportate dal Vangelo di Luca è questa:

«Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell'uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli».

Dobbiamo metterlo in conto. Fa parte dell’essere cristiani: siamo dei fuorilegge. Ma fuorilegge beati!

Chiunque ami Cristo e la sua Chiesa non può non sentirsi preoccupato, talora angosciato e sicuramente addolorato nel vedere che la barca della Chiesa è spesso in balìa di onde di tempesta. Partendo dall’episodio della tempesta sedata (Mc 4,35-41; Mt 8,23-27; Lc 8,22-25) vorrei provare, con umiltà e amore, a proporre una mia lettura.

Il Passeggero

“Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). La prima cosa che la barca della Chiesa deve imbarcare è il Passeggero, il Cristo. Dorme a poppa, con la testa poggiata su un cuscino, ma c’è, ed è colui cui “il vento e il mare obbediscono”. La Chiesa prima di tutto non deve perdere di vista Cristo, presente in mezzo a lei, “in lei”, in primo luogo nell’Eucaristia. Deve aggrapparsi alla preghiera, alla contemplazione del Maestro – anche se talora sembra che Egli dorma; deve rimettere al primo posto la celebrazione intensa, partecipata, innamorata della Messa. Deve ricorrere a lui chiedendo perdono, ridando presenza luminosa al sacramento della confessione; deve trovare tempo, amore e costanza nell’inginocchiarsi davanti a Lui. Se manca il Passeggero, la barca affonda semplicemente.

Il cuscino

Il Passeggero, per una volta, è “comodo”, lui che di solito “non ha dove posare il capo” (Mt 8,20). Il cuscino su cui poggia la Sua testa è la tenerezza che la Chiesa deve avere verso di Lui, realizzandola sia in una celebrazione sempre più innamorata e calorosa della liturgia, sia in un’accoglienza sempre più umana e sorridente dei fratelli e delle sorelle in cui Cristo è presente.

Il timone

La Chiesa ha bisogno di un timone saldo e resistente, che è la teologia (Gc 3,4: “anche le navi, benché siano così grandi e vengano spinte da venti gagliardi, sono guidate da un piccolissimo timone”). Grazie a una teologia robusta e coraggiosa, frutto di una sapienza antica nello “scolpire il timone”, ossia un profondo radicamento nella ricchezza della tradizione, la Chiesa può solcare le acque spesso difficili dei tempi e mantenere la prua orientata verso il porto. C’è bisogno di teologi umili, non desiderosi di emergere o brillare per originalità, ma capaci di articolare l’eterna sapienza della rivelazione nel linguaggio dell’oggi. E c’è bisogno che questo timone sia anche “visibile”, che la teologia sia diffusa – proporzionatamente alle capacità di ciascuno – a tutti i livelli, fra i laici, e anche resa manifesta a chi non fa parte della Chiesa ma ha bisogno di avere chiara la percezione dell’insegnamento della Chiesa.

La vela

“Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito” (Gv 3,8). La vela è la capacità della Chiesa di accogliere la profezia e farsene riempire, gonfiare. La profezia è il coraggio di dire la verità di Dio in mezzo agli uomini, anche quando questa verità è difficile da dire, da ascoltare e può portare a essere irrisi, colpiti, percossi. La Chiesa deve farsi gonfiare dallo Spirito, per dire le parole di Dio e non le proprie, ma deve avere il coraggio di manifestarsi con i colori sgargianti di una vela colorata e variopinta.

La rete

“Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (Lc 5,10). La Chiesa ha bisogno di apostolato: ha bisogno di testimoniare con franchezza e gioia la luce di Cristo. Deve tornare a essere una città sopra un monte, una luce sopra un candelabro. La Chiesa non può essere una città in perenne coprifuoco. Si nasconde chi si vergogna, non chi è felice di essere amato. Nessuno può essere obbligato a entrare nella città sul monte, nessuno è forzato a guardare la lampada; ma chi è in cerca di un asilo deve sapere dove trovarlo, deve poter veder brillare, in lontananza, le luci calde e accoglienti di una città pronta a dargli ristoro.

Pietro

“Pasci le mie pecorelle” (Gv 21,16). La barca su cui Gesù si trova è la barca di Pietro. La Chiesa ha tanto bisogno di padri. Che sappiano essere vicini a coloro che sono loro affidati – i vescovi ai loro preti, i preti ai fedeli. Che sappiano accogliere tutti ma senza voler piacere a tutti. Che abbiano un cuore caldo e una mente lucida. Che sappiano testimoniare la bellezza della loro vocazione innamorandone i giovani. Che siano sempre in ginocchio davanti a Gesù, mettendolo al primo posto: “Tu sai che ti amo”. Che sappiano di essere al servizio del gregge, prima di tutto attraverso il ministero che è loro proprio: quello di celebrare i sacramenti e di annunciare il Vangelo, con le parole e con la vita. I pastori che Cristo desidera sono quelli che non privano il proprio gregge del cibo che Cristo ha preparato per le sue pecore, ossia i Sacramenti; sono gli amministratori fedeli che provvedono il cibo ai familiari di Gesù, nel Suo nome (Lc 12,42).

Giovanni

A bordo c’è sicuramente anche Giovanni, il mistico. La Chiesa ha bisogno di innamorati, di poeti, di visionari, di artisti che sappiano tradurre la verità della teologia in bellezza che affascina. Ha bisogno di liturgia, di arte sacra, di musica bella; che siano fatte “per Dio”, rendendo onore alla Bellezza di Dio tramite ciò che di più bello gli uomini e le donne sanno fare; che siano annuncio profetico della bellezza del Regno, in un mondo spesso dominato dal brutto e dallo sciatto. Deve anche sapersi fidare delle intuizioni di chi usa i simboli più che i segni, di chi riesce a tenere insieme una polifonia di significati, magari senza quella chiarezza che talora può diventare piatta banalità, ma con quell’apertura al mistero che permette agli uomini e alle donne di oggi di incantarsi davanti alla bellezza di Dio.

La fede

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (Mc 4,40). Mentre il vento e le onde scuotono la barca, il Passeggero si sveglia, ci salva calmando la tempesta e ci rimprovera con tenerezza. Se non amassimo la Barca, non ci preoccuperemmo di vederla andare a fondo; Egli lo sa. Ma sa anche di averci detto che “le porte degli inferi non prevarranno su di essa” (Mt 16,18). È giusto tirare un po’ per la tunica il Signore quando la tempesta dura troppo a lungo e ne abbiamo paura. Ma è anche fondamentale sapere che (se ci siamo ricordati di imbarcarlo prima di partire) Lui è lì. E non ci abbandona.

  • Dal Salmo 106
  • Coloro che solcavano il mare sulle navi
  • e commerciavano sulle grandi acque,
  • videro le opere del Signore,
  • i suoi prodigi nel mare profondo.
  • Egli parlò e fece levare
  • un vento burrascoso che sollevò i suoi flutti.
  • Salivano fino al cielo,
  • scendevano negli abissi;
  • la loro anima languiva nell'affanno.
  • Ondeggiavano e barcollavano come ubriachi,
  • tutta la loro perizia era svanita
  • Nell'angoscia gridarono al Signore
  • ed egli li liberò dalle loro angustie.
  • Ridusse la tempesta alla calma,
  • tacquero i flutti del mare.
  • Si rallegrarono nel vedere la bonaccia
  • ed egli li condusse al porto sospirato.
  • Ringrazino il Signore per la sua misericordia
  • e per i suoi prodigi a favore degli uomini.
  • Lo esaltino nell'assemblea del popolo,
  • lo lodino nel consesso degli anziani.