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La Donna della Foresta

Di Chiara Nejrotti

Brion era un villaggio tranquillo, circondato dagli alberi e un po’ discosto dalle principali vie di collegamento, ma non troppo da risultare completamente isolato. Era sorto in una soleggiata radura nella grande foresta, che pian piano era arretrata per lasciare spazio alle case e ai campi coltivati, ma che costituiva comunque una presenza incombente, a volte amica, per le risorse di legname, di frutti selvatici e di selvaggina che offriva, ma sempre e comunque temuta dagli esseri umani. Era il luogo dove vivevano le creature fatate, oggetto privilegiato dei racconti che animavano le veglie invernali nel calore della stalla, e che i bambini, ma spesso anche qualche adulto, ascoltavano a bocca aperta dalle voci dei vecchi.

Nel villaggio non succedeva mai nulla, ma due volte all’anno, per i due solstizi, si teneva una fiera seguita da grandi festeggiamenti. La piccola Blanche saltellava eccitata dietro alla zia, speranzosa di vedere saltimbanchi e giocolieri, e incuriosita dalla varietà delle merci sulle bancarelle. Aveva con sé poche monete e doveva decidere se spenderle per i dolciumi o per i nastri di mille colori o tenerle ancora per comprarsi un animaletto che le tenesse compagnia. Blanche, infatti amava molto gli animali e a volte si spingeva anche ai margini della foresta nella speranza di vedere i cervi o altri animali selvatici. Una volta aveva salvato una volpe che si era azzoppata, di nascosto dagli zii che l’avrebbero sicuramente considerata colpevole di mangiare le galline.

La sua attenzione fu attratta da un omino che aveva sul banco gabbiette di ogni forma e colore che contenevano alcuni uccellini variopinti, altre furetti e scoiattoli e persino una lepre dalle lunghe orecchie brune. «Ti piacciono, bella bambina?» «Dovresti liberarli tutti» rispose lei con tono indignato.«Dammi almeno la lepre, non vedi com’è spaventata?» «Le tue monete sono troppo poche, per un animale così, al massimo posso darti un uccellino, e proprio perché mi sei simpatica» disse l’ometto.

Con un sospiro allora Blanche scelse un bell’uccellino dal piumaggio verde e azzurro, non ne aveva mai visto uno di quel colore, ma appena lo ebbe acquistato aprì la gabbietta e lo fece volare via. «E adesso come spiego agli zii, che torno senza le monete e senza aver acquistato niente? Dirò che ho mangiato dei dolci, anche se probabilmente mi puniranno per la mia golosità» pensava tra sé e sé mentre tornava verso casa.

Nella calca infatti aveva perso di vista la zia, che comunque non si sarebbe preoccupata troppo, perché ormai era sufficientemente grande da poter ritrovare la strada da sola. Si era fatto tardi però, e il sole stava per tramontare, la loro casa era un po’ fuori del paese e bisognava attraversare un tratto di bosco per arrivarci. Non c’era mai stata di sera, e anche se il cielo era ancora sufficientemente chiaro, decise che fosse meglio affrettarsi.

L’omino intanto la teneva d’occhio; appena la bambina si fu allontanata sufficientemente aprì tutte le gabbie e sussurrò agli animali: «È sicuramente lei, andate a comunicarlo alla vostra e mia signora» Subito gli animali si sparpagliarono, chi volando, e chi correndo o saltando, ma tutti nella direzione del bosco.

Blanche intanto era giunta alla faggeta che avrebbe dovuto attraversare; il sentiero si snodava tra gli alberi e anche se di giorno non aveva mai provato timore, sul far della sera le cose le apparvero diverse. «In tutti i racconti, si dice che i faggi siano alberi buoni» – pensava – «e poi mi conoscono» ma non poteva fare a meno di provare un po’ di timore. Mentre cercava di rassicurarsi vide una lepre che le saltellava davanti; «sembra proprio la lepre che ho visto nella gabbia» si disse. Subito dopo sentì un cinguettio e vide l’uccellino verde-azzurro che aveva liberato che le svolazzava intorno. Mentre si domandava, stupita, che cosa stesse accadendo si senti afferrare il braccio da una mano ossuta, ma robusta. Una donna anziana, ma diritta e fiera, il cui volto recava ancora i tratti di un’antica bellezza, la trasse vicino a sé dicendole: «Blanche finalmente ti ho travato, ti stavo cercando da tempo, sono tua nonna».

«Non sapevo di avere una nonna, so soltanto che mio padre è morto al servizio del suo signore e che mia madre sembra sia stata portata via da una piena del fiume quando ero molto piccola. Gli zii mi hanno detto così e non mi hanno mai parlato di voi» disse la bimba, un po’ spaventata ma anche incuriosita. Sentiva che quella strana donna non voleva farle del male, ma l’avevano sempre messa in guardia conto gli sconosciuti e decise che era meglio essere prudenti. «È una lunga storia» disse l’anziana con un sospiro, «credo in effetti che dovrò accordarmi con i tuoi zii e dire loro che sono tornata. Non ne saranno troppo felici, ma è ora che tu venga con me e inizi il tuo addestramento» «Quale addestramento?» chiese Blanche « Davvero non lo intuisci? Non hai mai sentito che questo mondo per te è troppo ristretto, non hai mai sognato di parlare con gli animali e con gli alberi? E non lo stai già facendo a modo tuo? Io sono la saggia della foresta e ti insegnerò a sviluppare i tuoi poteri» Due occhi grigi screziati di verde, come la corteccia del vecchio faggio, fissavano quelli della bambina; sembravano pozze di saggezza e la piccola ne fu conquistata. L’avrebbe seguita.