Articoli 2022

L’arte di tessere racconti

Di Patrizio Righero

Nel libro di Andrea Monda, direttore dell’Osservatore Romano, una riflessione a più voci sulla narrazione come via di salvezza Come frutti maturi, i contributi raccolti nel libro “La tessitura del mondo” (Libreria Editrice Vaticana – Salani) sono cresciuti sui robusti e rigogliosi rami del messaggio di Papa Francesco per la 54ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali (2020). Il direttore dell’Osservatore Romano, Andrea Monda, ha messo insieme – sulle pagine del suo quotidiano prima e in volume poi – oltre 40 personaggi delle più diverse estrazioni i quali, partendo dal proprio specifico campo di studio, ricerca o lavoro, hanno reagito al testo del pontefice “Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria. La vita si fa storia”. Al tema del racconto, infatti, è stato dedicato il messaggio in questione che esordisce: «L’uomo è un essere narrante. Fin da piccoli abbiamo fame di storie come abbiamo fame di cibo. Che siano in forma di fiabe, di romanzi, di film, di canzoni, di notizie…, le storie influenzano la nostra vita, anche se non ne siamo consapevoli. Spesso decidiamo che cosa sia giusto o sbagliato in base ai personaggi e alle storie che abbiamo assimilato. I racconti ci segnano, plasmano le nostre convinzioni e i nostri comportamenti, possono aiutarci a capire e a dire chi siamo». La radice biblica della riflessione, per restare nella metafora botanica, la troviamo nel Vangelo di Giovanni: «il Narratore per eccellenza – il Verbo, la Parola – si è fatto narrazione: “Il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha raccontato» (Gv 1,18). Ho usato il termine “raccontato” – scrive Francesco – perché l’originale exeghésato può essere tradotto sia “rivelato” sia “raccontato”. Dio si è personalmente intessuto nella nostra umanità, dandoci così un nuovo modo di tessere le nostre storie». Si sofferma su questo passaggio lo scrittore Eraldo Affinati: «Mi colpisce il richiamo giovanneo al Verbo come vita e carne. Soprattutto oggi abbiamo bisogno di legare la lingua all’esperienza […]. Quando il racconto di una storia sembra non costar nulla a chi l’ha scritta, c’è qualcosa che non funziona». Ma non si parla solo di storie scritte, come rileva il cantautore Francesco De Gregori che coglie un dettaglio: il fatto che Papa Francesco «non abbia nessun problema a mettere accanto alla letteratura e al cinema anche le canzoni. Questo non è affatto scontato. È difficile che le canzoni siano considerate cultura, raramente ciò che raccontano le canzoni viene invitato alla stessa tavola delle arti cosiddette “maggiori”».

La narrazione, secondo lo scrittore irlandese Colum McCann, è «la nostra grande democrazia. È quella cosa alla quale tutti abbiamo accesso. Raccontiamo le nostre storie perché abbiamo bisogno di essere ascoltati. E ascoltiamo storie perché abbiamo bisogno di appartenere». È una necessità antropologica perché, come osserva lo statunitense Daniel Mendelsohn, «Noi siamo creature di narrativa». Ma non solo. Narrando «c’è un punto in cui subentra il trascendente, in cui si ha bisogno di una sorta di talento sovraumano per fare grande arte». Si entra, cioè, nel terreno della spiritualità e della teologia. «La conoscenza di Dio – insegna Francesco – si trasmette soprattutto raccontando, di generazione in generazione, come Egli continua a farsi presente. Il Dio della vita si comunica raccontando la Vita». Commenta il biblista Jean-Pierre Sonnet: «Il rapporto tra vita e racconto si verifica nel Nuovo Testamento, sia nella macro narrazione dei Vangeli, sia in ognuna delle loro micro narrazioni». Ne è convinta anche la scrittrice Mariapia Veladiano: «C’è più teologia, intesa come riflessione sull’esperienza religiosa degli uomini e delle donne, nei libri di letteratura che nei trattati, perché la teologia della letteratura assume tutta intera l’interrogazione della vita sui temi del bene, del male, del senso e della promessa, ma nello stesso tempo non ha la pretesa di chiedere il cerchio con la risposta». Per lo scrittore Sandro Veronesi il Vangelo è una «sofistica, bellissima macchina narrativa».

Un esempio concreto di narrazione che germoglia da una fede vissuta, e che alla fede inclina, lo offrono il domenicano britannico Timothy Radcliffe e il francescano argentino Guglielmo Spirito individuandolo nel capolavoro di John Ronald Reuel Tolkien “Il Signore degli anelli”. Citando l’autore stesso Radcliffe ricorda come questa popolare trilogia sia una «esplorazione della sua fede nell’eucaristia». Spirito, dal canto suo, nota che «le storie che da bambini amiamo sentirci raccontare o leggere, ci plasmano, ci segnano e ci aiutano a capire e a dire chi siamo (hobbit che come Frodo, Sam, Pippin e Merry diventano capaci di andare ben oltre alle cose scontate e trite, accentando avventure e sfide, e ritrovandosi cambiati)». Cita l’opera tolkieniana anche Papa Francesco nella post fazione che ha accettato di fare «a patto però che non venga considerata finale» perché «come dice Frodo, il protagonista de “Il Signore degli Anelli” di Tolkien, “i racconti non finiscono mai”».

L’eremita urbana Antonella Lumini legge l’incipit del Messaggio come uno stimolo «a guardare da quel punto di vista in cui il visibile si interseca con l’invisibile, si apre, si dilata di significati che amplificano la comprensione di quello che osserviamo, come lo sguardo di Dio che vede il dritto e il rovescio». Riprende quindi un passaggio nodale, lo stesso che dà il titolo al libro: «L’uomo non è solo l’unico essere che ha bisogno di abiti per coprire la propria vulnerabilità, ma è anche l’unico che ha bisogno di raccontarsi, di “rivestirsi” di storie per custodire la propria vita. Non tessiamo solo abiti, ma anche racconti: infatti, la capacità umana di “tessere” conduce sia ai tessuti, sia ai testi. Le storie di ogni tempo hanno un “telaio” comune: la struttura prevede degli “eroi”, anche quotidiani, che per inseguire un sogno affrontano situazioni difficili, combattono il male sospinti da una forza che li rende coraggiosi, quella dell’amore. Immergendoci nelle storie, possiamo ritrovare motivazioni eroiche per affrontare le sfide della vita». «La storia – riflette Antonella Lumini – è un magma che però ha una sua tenuta, sussiste. Allo stesso tempo spinge sempre oltre in un divenire in cui il passato forgia le trame del futuro […]. Nel magma di tali concatenazioni che tessono le storie, passa un respiro lieve che non è sottoposto a nessun giogo: il respiro della grazia dove tutto è leggero».

L’ultimo contributo è un testo inedito della scrittrice Donna Tartt (Premio Pulitzer nel 2014) ripreso nella post fazione conclusiva di Papa Francesco che ne cita un passaggio: «le storie son tela per vele che issiamo per catturare un respiro del divino. I pensieri di altre persone acquistano una strana vita in noi, ed è per questo che la letteratura è l’arte più spirituale di tutte e certamente quella più trasformativa. Come nessun altro modo di comunicare, una storia può cambiare il nostro modo di pensare, nel bene e nel male (…) le culture antiche e moderne hanno sempre considerato le storie magiche – e pericolose – per una ragione: perché si può ascoltare una storia e, al suo termine, essere una persona totalmente diversa».

L'affascinante Medioevo di Davide Gorga

Di Giovanni Soppelsa

Medioevo, Veggenza, Fede (L’Arco e la Corte, 2022) di Davide Gorga è una raccolta di brevi biografie letterarie di ventitré poeti e scrittori, che copre un ampio arco temporale dal pieno Medioevo di Chretien de Troyes alla contemporaneità di Michael Ende, che brilla ed incuriosisce per l’apparente eterogeneità (si passa dal regale ed inaspettato tributo a Charles d’Orleans a C.S. Lewis, da Samuel Taylor Coleridge ad Arthur Rimbaud). È un testo devoto e ragionevole. “Devoto” non in senso confessionale, ma in quanto pieno d’amore e passione (ed anche, viene da dire, riconoscenza) verso alcuni artisti, che prima con le parole, poi con l’associare le parole in versi e frasi, ed infine i versi e le frasi a supportare pensiero e cuore, hanno creato un filo rosso nella storia della letteratura. “Ragionevole” perché le brevi biografie di Gorga sono misurate, asciutte, non esasperano la grandezza ma anzi la contengono in un ampio recinto di umanità sobria e accesa. Non si assume nulla di scontato per il sommo Dante, così come i dettagli della vita di Belloc non sono sbriciolati puntualmente. Quello che interessa è la vista profonda dei maestri, che riescono ad intravedere quel qualcosa che ci insegna ad essere un po’ più umani; di più: cercano di intravedere nella trama della realtà scorci della Realtà più grande, spaziosa, dove l’aria e sottile e dove si respira con più agio. Gorga ci descrive paesaggi, notturni e diurni, e così con le citazioni dei testi presenti da cui prende spunto, non esplicative ma piuttosto allusive, comunque colme di una speranza discreta ma tenace, di una luce di volta in volta tenue e forte: di Christine de Pizan si ricorda il fulmineo ingresso del Ditié de Jehanne d’Arc (“L’anno millequattrocentoventinove / ha ripreso a splendere il sole”; e Giovanna sembra essere una presenza cara e costante lungo tutto il libro), di JRR Tolkien il momento in cui un eroe inatteso, in una terra desolata ed avvelenata, intravede una stella spuntare tra le nubi, ed infonderlo di coraggio, di Gerard de Nerval un breve brano della Sylvie, tutto di ombre, vapori e felici attese. Il lettore può essere davvero confortato da diversi spunti, apparentemente scollegati, ma intimamente coesi. Ultimo, non per importanza: il libro di Davide è una buona guida di lettura. Se già si è esplorato uno degli autori trattati, si è sollecitato a desiderare di riscoprilo; se lo si è fino ad oggi trascurato, si sarà spinti a partire per l’avventura delle sue parole: ed un libro che fa amare libri che meritano di essere amati, è sempre una buona azione nei confronti di chi è vivo, ed ha un paio d’occhi.